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Geografia, che passione!

 

Quale città si trova più ad est tra Napoli, Catania, L’Aquila e Trieste? E qual è più a sud, Rio de Janeiro, Città del Capo, Buenos Aires o Sydney?

Le occasioni per renderci conto di quanto scarso sia il comune livello di conoscenza geografica non mancano mai. Con il terremoto di Haiti, volti e luoghi di un paese sconvolto da una tragedia sono finiti in primo piano; tra tanto parlare, qualcuno si è reso conto, con candido stupore, che Haiti si trova nel mar dei Caraibi e divide una frontiera con la Repubblica Dominicana.
Nulla a che vedere, evidentemente, con Tahiti, che dista in linea d’aria qualcosa come 10,000 chilometri.
Tanto per rimanere nella fascia tropicale, quando un’altra sciagura seminò centinaia di morti nelle Samoa, gli stessi giornalisti fecero fatica a spiegare dove fosse localizzato quest’arcipelago del Pacifico, in parte nazione indipendente e in parte territorio “non incorporato” degli Stati Uniti.
Pochi giorni dopo, ci fu un terremoto a Sumatra e in molti pensarono che l’evento fosse in relazione con il sisma che aveva generato lo tsunami nelle Samoa. Come dire che il terremoto dell‘Aquila provoca scosse di assestamento a New York.
Con una tale, distorta percezione delle distanze, si corre il rischio di subire molte di queste illusioni geografiche.

carta geografica e bussola
Foto di vialevo da Pixabay

Senza dubbio, si sopravvive anche senza avere la più pallida idea della collocazione geografica di Haiti o delle Samoa, di quale sia il clima che ne ha caratterizzato il paesaggio, della storia di chi ci vive, dei rapporti che quella gente ha con il resto del mondo e, dunque, con noi. Perché la geografia è anche questo: spiega la storia e l’ambiente, i flussi economici e le ondate migratorie, la diffusione linguistica, i conflitti etnici, la povertà e la ricchezza.
Peccato mancare di una percezione più ampia della realtà che ci circonda, lontana o vicina che sia; varrebbe la pena di guardare con più attenzione e curiosità almeno ai paesi più vicini, per scoprire un Altrove che sta appena al di là del cortile di casa.

La geografia aiuta a colmare qualche imbarazzante lacuna ed è per questo che s’insegna nelle scuole; e nemmeno a farlo apposta, invece di valorizzarla viene sacrificata, all’estero quanto da noi. Ci sono state proposte per far scomparire l’insegnamento della geografia in tutti gli istituti professionali e in quasi tutti i tecnici e per ridimensionare pesantemente le ore di didattica nei licei.
Forse il ricordo della geografia scolastica fa affiorare nella mente del legislatore l’assillo di un’interrogazione sul fiume più lungo, il monte più alto o la capitale di questo o di quel paese; se la geografia fosse solo un insieme di nomi da mandare a memoria, perché fare quest’inutile sforzo, quando si può accedere a qualsiasi notizia geografica con un paio di click su internet?

Il problema non è il nozionismo in sé stesso, che può essere facilmente superato se l’insegnante sa fare il suo lavoro.
La noiosa nomenclatura geografica è propedeutica allo sviluppo di una conoscenza più ampia, è il punto di partenza che apre un orizzonte sul proprio e su qualunque altro ambiente: il nome del luogo e la sua localizzazione, il dove si trova, fornisce la chiave per interpretare quel territorio e le sue componenti fisiche e umane, in altri termini, il perché si presenta così e come ha fatto a diventare ciò che è oggi.
In un’era globalizzata e complessa, sembra impossibile solo pensare che l’insegnamento della geografia, in così stretta relazione con la storia e le scienze, sia diventato qualcosa da “tagliare“.
Esiste una notevole differenza in qualità e accuratezza, qualunque cosa ne pensi il legislatore, tra chi apprende nozioni geografiche in maniera informale o incidentale e chi invece ha potuto acquisirle attraverso l’insegnamento e lo studio sistematico. La stessa differenza che passa tra chi è in grado di decodificare in modo autonomo e critico un messaggio, un dato, una notizia, e chi invece li subisce passivamente.

Secondo l’ Associazione Italiana Insegnanti di Geografia, molti studenti italiani hanno difficoltà a localizzare le regioni italiane su una mappa; davanti ad un GPS,  lamentano gli insegnanti, carte geografiche e atlanti diventano strumenti obsoleti.
Ma nelle persone dotate di una sana curiosità quest’antitesi è fittizia, perché l’uso di moderne tecnologie di localizzazione non esclude l’interesse verso la cartografia geografica e tutto ciò che essa comporta: il senso dell’orientamento, la comprensione della distanza, la relazione spaziale tra gli oggetti, i problemi di scala e via dicendo, tutte competenze non banali che si possono utilizzare nei contesti più diversi.
Comprendere il significato di quei due numeri che appaiono sul GPS vuol dire capire dove siamo e dove stiamo andando; nord e sud non sempre corrispondono alla parte in alto e in basso di una carta, così come sinistra e destra sono modi artificiosi per indicare che ci troviamo ad est o ad ovest di un certo meridiano di riferimento.
Di certo, a meno di non trovarsi in mezzo al mare con il GPS scassato, nessuno penserebbe mai di determinare latitudine e longitudine per sapere esattamente in che punto della terra si trova in quel momento.  Ma se la determinazione precisa delle coordinate geografiche è un’operazione complessa e di scarsa utilità nella vita di tutti i giorni, i principi teorici su cui questa misura si basa sono molto più interessanti: si fondano sulla posizione e sui moti apparenti di stelle e pianeti attorno alla Terra e portano alla mente concetti affascinanti, e a volte ingannevoli, come la misura del tempo, i fusi orari o la linea del cambiamento di data; e, perché no, ricordano la storia dei primi navigatori e i racconti delle esplorazioni.

Esploratore Geografia
Foto di iqbal nuril anwar da Pixabay

La geografia, come la filosofia, è una delle scienze più antiche del mondo, eppure straordinariamente attuale.
Si parla sempre più spesso di degrado ambientale e sviluppo sostenibile, di cambiamenti climatici, erosione del suolo e deforestazione; e non è cosa facile capire le reali dinamiche di questi fenomeni senza mettere in relazione l’incremento demografico naturale e quello forzato dalle ondate migratorie, senza considerare i fenomeni di urbanizzazione progressiva e lo sfruttamento economico delle risorse naturali.
Le foreste pluviali che scompaiono dall’Amazzonia e da tutta la fascia tropicale, il consumo globale di energia, l’accrescimento della popolazione e la mancanza di risorse necessarie per il suo sostentamento e la molteplicità degli aspetti che caratterizzano i paesaggi umani trovano una descrizione razionale nelle rappresentazioni cartografiche e nei dati statistici, cioè negli strumenti utilizzati per fare geografia.
Ha senso parlare di tutto ciò senza un quadro d’insieme, senza una visione globale del pianeta?

Infine, viene il turismo. Per gli addetti ai lavori la geografia dovrebbe essere pane quotidiano e invece questa semplice equazione non sempre torna.
A  noi capitò qualche anno fa di entrare in un’agenzia turistica  per chiedere quale fosse il volo più conveniente per la Polinesia Francese; era il 1996 e allora il biglietto aereo non si comprava su internet. Guardando il monitor, l’addetta chiese se volevamo andare prima a Tahiti e poi a Papeete o viceversa.
Lo stesso sguardo smarrito lo avevamo visto negli occhi di un operatore di un’altra agenzia, quando  cercavamo notizie sul Costa Rica. Sono passati diversi anni e il grado di competenza geografica, come allora, è soggetto a vistose oscillazioni e varia notevolmente in funzione della professionalità di chi ci si trova davanti.

Dall’altra parte della barricata ci sono i turisti e anche qui il panorama è quanto mai variegato.
Tempo fa Hotels.com, leader mondiale di prenotazione alberghiera on line, ha pubblicato un campionario delle domande più impensabili rivolte da sprovveduti viaggiatori ad operatori di hotel e di uffici del turismo.
Ne è risultato un bestiario che trascende qualsiasi nazionalità. A cominciare dai turisti in visita a Roma che pensavano di poter fare i fanghi alle Terme di Caracalla o di vedere la lotta dei gladiatori nel Colosseo, a finire con quelli che in Sicilia domandavano che tipo di moneta si usasse.
Deve essere servito tutto l’aplomb britannico per rispondere con cortesia ad un turista che ha chiesto “perché hanno costruito il castello di Windsor sulla rotta di volo di Heathrow?” E chissà cosa hanno pensato a Parigi sentendosi chiedere “Le fogne della città sono sottoterra?“.
Completano l’elenco quelli che cercavano una spiaggia a Madrid e chi invece pensava di trovarla ad Aosta.
Gaffe di questa portata non sono nemmeno catalogabili nella comune mancanza delle più elementari nozioni geografiche. Di certo, l’impreparazione e la disinformazione di tanti turisti, che partono senza nemmeno sapere dove vanno, è un fenomeno piuttosto diffuso.

Oggi, chi è in grado di fare da solo le proprie scelte ha un’infinità di strumenti messi a disposizione dalla rete e, per fortuna, quelli che viaggiano ad occhi aperti sono sempre più numerosi e per loro viaggiare è senz’altro un modo per avvicinarsi alla geografia del mondo.
Sono turisti che sanno cosa mettere in valigia, perché si rendono conto dei climi e della morfologia del territorio che andranno a visitare; possono già immaginare che tipo di incontri faranno perché conoscono la storia che ha segnato quel paese e quale eredità ha lasciato nei suoi abitanti; misurano prima di partire l’impatto con la qualità della vita del posto, perché si sono già fatti un’idea dei caratteri demografici, economici e politici di quella comunità e potranno paragonarli con i propri.
Chi conosce la geografia sa quanto sia utile, a scuola come dopo. Serve a sentirsi, come diceva Kant due secoli fa, ‘cittadini del mondo‘, tanto in oriente quanto in occidente, in una bidonville del terzo mondo o nel pieno centro di New York e, naturalmente, anche a casa propria.

A proposito, le risposte alle domande iniziali sono Catania e Buenos Aires, ma forse è puro nozionismo.

Ultimo aggiornamento: 23 Aprile 2022 by Redazione

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Author: Redazione