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Storie dai Tropici

India: stop al “turismo della tigre”. I pro e i contro

(New Delhi, India - 1/5/2010)

La prospettiva di avvistare una tigre del Bengala nel suo ambiente naturale è sempre stata uno dei punti di forza di molti parchi e riserve indiane.
Questa settimana il governo indiano ha deciso di bandire gradualmente il turismo dalle 37 riserve nazionali che ospitano i grandi felini. Secondo il ministro dell'Ambiente, Jairam Ramesh, per le poche tigri rimaste - appena 1.400 esemplari - il turismo sta diventando una minaccia seria almeno quanto il bracconaggio.

Una decisione così drastica ha diviso gli animi. Tutti concordano sul fatto che solo un'azione radicale può salvare la tigre dall'estinzione, ma il turismo non è certamente il solo pericolo. Anzi, la misura annunciata dal governo indiano potrebbe rappresentare un'ulteriore minaccia per i felini, lasciandoli definitivamente alla mercé dei bracconieri.

Gli operatori turistici sostengono che la miglior protezione per le tigri è rappresentata proprio dalle zone turistiche e che, una volta stroncato questo settore, che genera importanti entrate, le foreste non avranno più alcun valore e saranno sacrificate all'agricoltura, allo sfruttamento minerario o ad altre attività industriali.
Ai confini dei parchi, l'industria del turismo offre mezzi di sussistenza alternativi a centinaia di persone, che sarebbero invece costretti a ricorrere ad agricoltura di sussistenza, o peggio al disboscamento illegale e al bracconaggio.
Il parco Bandavgarh, che da solo riceve 45 mila visitatori l'anno, e il Corbett National Park, quello dedicato all'ambientalista Jim Corbett, uno dei primi ad essere istituiti in India, hanno ancora una densità di esemplari relativamente alta, se confrontata ad altre zone meno turistiche, sempre secondo gli operatori del comparto. Questo grazie alle unità anti-bracconaggio e ai veicoli circolanti otto ore al giorno, che trasportano guide e turisti.

Ma l'industria del turismo non è certo leggera. La maggior parte degli esperti ritiene che la pressione esercitata dal turismo sull'habitat delle tigri abbia ormai superato i livelli critici.
Il ministro dell'ambiente ha promesso un giro di vite sui resort di lusso che crescono come funghi nel cuore delle riserve, proprio lungo i corridoi usati dagli animali selvatici per spostarsi da un territorio all'altro. Frotte di turisti chiassosi a bordo di jeep o a dorso di elefanti, in preda alla frenesia di avvistare questi rarissimi felini, distruggono la vegetazione e disturbano le prede di cui le tigri si nutrono, contribuendo al degrado dell'intero ecosistema.
Molte riserve sono state criticate dagli ambientalisti per l'uso di sistemi di telemetria radio per il tracciamento delle tigri a beneficio dei turisti: appena un mahaut - un driver di elefante - ne segnala la presenza, una sola tigre viene perseguitata da decine di veicoli strombazzanti.

Se gestito correttamente il turismo potrebbe invece portare enormi benefici alla conservazione delle specie selvatiche, soprattutto se realizzato in collaborazione con le comunità locali che vivono intorno a parchi. Ma lo stesso governo indiano ammette di aver fallito nella gestione di un turismo serio e responsabile.
Da vent'anni si parla ormai di riorganizzare l'industria turistica, bandire le sue forme distruttive e dare più spazio alle iniziative responsabili e sostenibili. Il tempo sembra ormai scaduto, poiché le tigri potrebbero estinguersi entro cinque anni.

La decisione adottata dalle autorità indiane è destinata a scatenare un acceso dibattito. E la questione non riguarda solo l'India o solo le tigri.
In che misura il turismo rappresenti una leva per la protezione della fauna selvatica in pericolo o sia piuttosto uno scivolo verso la loro estinzione è un quesito a cui dovranno rispondere diversi paesi nel mondo.

Altri dettagli su: Telegraph


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