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Dossier Tropici

A caccia di uragani

Non hanno paracadute a bordo, perché dove vanno loro servirebbe a poco. E' difficile crederlo ma, nonostante i satelliti e tutte le diavolerie tecnologiche possibili, abbiamo ancora bisogno dei cacciatori di uragani, gli hurricane hunters.
Contro la violenza di un uragano non c'è nulla da fare, tranne che indagare il fenomeno e studiare le sue mosse: tanto più accurate saranno le previsioni, tante più vite si potranno salvare. E siccome i satelliti non sono in grado di rilevare la pressione interna di un ciclone e nemmeno possono fornire dati sulla velocità dei venti, queste informazioni, indispensabili per capire il comportamento di un uragano, devono essere raccolte in un altro modo. Come? Dall'interno.
Durante la stagione degli uragani, da giugno a novembre, un team di piloti e specialisti sale a bordo di velivoli attrezzati di tutto punto e vola dritto nell'occhio del ciclone.

Pare che gli hurricane hunters siano nati da una scommessa: durante la seconda guerra mondiale un gruppo di piloti inglesi fece circolare la voce che i velivoli americani fossero meno resistenti della loro controparte britannica. Joseph Duckworth, ufficiale dell'aeronautica statunitense, raccolse la sfida e dimostrò che il suo aereo poteva volare nel bel mezzo di un uragano senza riportare danni.
Duckworth, un ex pilota di linea che addestrava gli uomini dell'Air Force a volare nelle condizioni meteo più estreme, non era un pazzo e nemmeno un esaltato. Al rientro, descrisse il suo passaggio attraverso la spessa coltre di nubi nere, le correnti d'aria che sballottavano paurosamente l'aereo e poi finalmente l'ingresso nell'occhio, una sorta di buco cilindrico nel quale penetrava limpida la luce del sole.

Fu subito chiaro che le missioni di ricognizione nel centro degli uragani potevano essere di estrema utilità. L'anno dopo il primo successo: un team dell'Air Force individua e segue la traiettoria di un ciclone che andava intensificandosi al largo di Puerto Rico e lancia l'allarme. Il Grande Uragano Atlantico del 44 – all'epoca non era ancora in uso assegnare nomi di persone agli uragani – si abbatte su Long Island e sul New England e uccide 50 persone, ma senza preavviso il bilancio avrebbe potuto essere ben più grave con centinaia e centinaia di vittime.

Il nome convenzionale Hurricane Hunters appare per la prima volta sulla fiancata dei velivoli nel 1946 e da allora non è più cambiato. Evidentemente sono cambiati gli aerei, è cambiata la strumentazione a bordo, sempre più sofisticata, e i velivoli militari sono stati affiancati dalle squadre del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), autorevole istituzione non profit statunitense che si occupa di ricerca scientifica.

Civili e militari pattugliano l'Atlantico e il Pacifico e cooperano per inviare informazioni ai centri di elaborazione dati, primo fra tutti il National Hurricane Center di Miami, che durante la stagione degli uragani rilascia regolari bollettini e, se il caso, lancia l'allarme.
E' vero che i satelliti hanno rivoluzionato lo studio della meteorologia e il modo di fare le previsioni del tempo. Ma gli uragani sono fenomeni bizzarri, che continuano a sorprendere per la loro imprevedibilità; e poi sono una delle espressioni più violente della forza della natura e necessitano quindi di misure sempre più accurate.
Le immagini riprese dai satelliti meteorologici geostazionari, per quanto utilissime, rimandano a terra una fotografia del sistema dall'alto, che successivamente viene elaborata utilizzando modelli predittivi, dai quali si estrapolano dati sull'intensità dell'uragano e stime della sua posizione futura.
Poiché gli uragani seguono il più delle volte un percorso regolare, l'analisi statistica è di grande aiuto, ma ci sono una serie di altri indicatori che concorrono a dare un quadro della situazione: la temperatura superficiale del mare, i venti in quota, la presenza di masse d'aria secca e via dicendo.
Il problema però è che questo genere di previsioni possono rivelarsi poco attendibili sul lungo periodo e, quel che è peggio, non danno alcuna informazione sugli improvvisi cambiamenti di direzione e di intensità del sistema ciclonico.

Le leggi fisiche che governano il comportamento degli uragani si compiono nelle regioni più profonde della tempesta: il muro dell'occhio. Semplificando, se l'occhio è il fulcro attorno al quale ruotano nubi e pioggia, il muro è il motore dell'uragano. La bassa pressione nel centro dell'uragano richiama masse d'aria che si muovono dall'esterno del sistema ciclonico verso l'interno, con un moto circolatorio che è la risultante di forze diverse, tra cui la forza di Coriolis generata dalla rotazione terrestre. Più la pressione barometrica nell'occhio diminuisce, più il motore aspira aria dalle quote più basse; i venti aumentano e ruotano vorticosamente senza raggiungere l'occhio, che rimane un'area di relativa stabilità circondata da un muro spesso di nubi e pioggia, chiamato appunto eyewall.
Capire cosa avviene nell'eyewall è di fondamentale importanza. Ed ecco perché i cacciatori di uragani operano proprio in quella zona dove regnano più feroci i venti.
Gli hurricane hunters penetrano il muro più volte nel corso di una missione di ricognizione per raccogliere la massima quantità di dati possibile, sia con i sensori a bordo sia per mezzo di sonde, che prima di ricadere in mare rilevano a diverse quote valori istantanei di temperatura, pressione, umidità, velocità e direzione dei venti.
Questi dati sono una vera manna per i centri di sorveglianza uragani: secondo le stime del National Hurricane Center, essi hanno un grado di attendibilità e di accuratezza superiore del 30% rispetto alle proiezioni fatte senza l'aiuto dei cacciatori.

Ogni anno, nel periodo che va da giugno a novembre, si formano in media dieci tempeste tropicali sull'oceano Atlantico, il mar dei Caraibi e il golfo del Messico. Questo perché durante la stagione estiva l'aria calda e secca presente sopra il Sahara si alza e si muove verso ovest, spinta dagli alisei. Durante il passaggio sulle calde acque oceaniche della fascia tropicale, il calore latente liberato dalla condensazione del vapore acqueo fornisce l'energia necessaria allo sviluppo di violente tempeste, che arrivano a colpire dall'altra parte dell'Atlantico. La maggior parte di esse rimane in mare e nemmeno sfiora le terre emerse; altre invece diventano sempre più intense e, in determinate condizioni, si trasformano in uragani, abbattendosi sulle coste con una potenza distruttiva che non di rado reclama un alto tributo di vittime.

Certo è che volare là dentro non è un bell'affare. Gli uomini a bordo sopportano turbolenze inimmaginabili e sono soggetti a forze di gravità che aumentano paurosamente. Il rischio di non farcela ad uscire dal muro c'è, ma è contenuto: da quando sono cominciate le missioni si ricordano 53 vittime e 6 velivoli persi. Il maggior numero di disgrazie si è verificato durante le ricognizioni di violenti tifoni nel Pacifico e un solo incidente è avvenuto sopra l'Atlantico.

Il più delle volte, comunque, gli hurricane hunters compiono missioni di routine. E non è raro che i velivoli civili del NOAA accolgano persino qualche “spettatore”: a dire il vero, la lista di chi vorrebbe salire a bordo di questi velivoli è lunghissima ma farsi rilasciare un permesso non è cosa facile. L'autorizzazione a volare con gli hurricane hunters viene concessa solo per motivi di ricerca oppure a qualche giornalista locale, soprattutto quando c'è la necessità di documentare l'imminente impatto a terra di un uragano.
Ciò detto, per soddisfare il desiderio irrefrenabile di andare a caccia di uragani non resta altro che allacciare le cinture e godersi questo video.
Si ringrazia NOAA / Hurricane Hunters per le fotografie
[Agosto 2011] Rev. 2021

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