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Mauritius


Ogni anno, in una notte senza luna fra ottobre e novembre, un tripudio di luci illumina le soglie delle case, i tetti, le terrazze e i davanzali di Mauritius: è il Diwali, la festa che celebra il trionfo della luce sull'oscurità.
Nella stessa notte in cui le scalinate di tutti i templi del sud dell'India scintillano di fiammelle e lucine, anche Mauritius si prepara rischiarando il sentiero alla divina Laksmi, affinché possa entrare nelle case e portarvi prosperità e ricchezza. E' una tradizione molto popolare tra i mauriziani indù ma è anche una festa che accomuna e coinvolge un po' tutti: gli uomini indossano il loro abito migliore, le donne vestono sgargianti sari fucsia e arancione e tutti si scambiano visite e piccoli doni con parenti e vicini.

La società mauriziana è composta da gruppi etnici diversi, che vivono in un clima di generale tolleranza.
La comunità più numerosa è quella indiana, in maggioranza di religione indù e in parte musulmana; insieme ai tamil costituiscono la componente asiatica di Mauritius.
Discendenti della massiccia importazione di manodopera indiana di metà ottocento per sostituire gli africani, dopo l'abolizione della schiavitù, nella coltivazione della canna da zucchero, oggi l'etnia indo mauriziana riveste un importante ruolo politico ed economico.
Il volto africano dell'isola è quello creolo, in minoranza e spesso in posizione economica svantaggiata: di origine africana e malgascia, quasi sempre cattolici, si sono incrociati con gli europei, dando origine a tutte le tonalità di marrone. Vengono poi i cinesi, poco numerosi ma in continua crescita, abilissimi nei commerci e a maggioranza buddista.
Infine gli agiati franco-mauriziani e i bianchi europei, che hanno in mano le attività economiche più importanti, compresa la gestione dei grandi alberghi.
Nessuna di queste comunità può vantare una razza o una religione veramente autoctona ed è forse questo il segreto della loro pacifica convivenza.
Una ricca mescolanza culturale dunque, che trova una delle sue espressioni anche in cucina, o meglio, nelle mille cucine di Mauritius: indiana, creola, cinese o francese è sempre riadattata in modo creativo e stuzzicante e gradevolmente esaltata da profumi speziati.

Ai primi posti in Africa per boom economico, alfabetizzazione, accesso all'educazione e alla sanità, l'isola di Mauritius ha standard di vita quasi occidentali; un bel successo se si considera che la densità di questa popolazione multicolore, multireligione, multilingue e multigastronomica è tra le più alte al mondo.
Mauritius non è perciò l'isola di Robinson Crusoe e le spiagge da cartolina circondano un paese densamente abitato. La capitale, Port Louis, è una città caotica e frenetica, schiacciata dal traffico, dove brutti grattacieli e centri commerciali hanno sostituito gli edifici in stile coloniale.

Lungo la costa sfila la parata del vacanzificio di lusso, con centinaia di hotel dal carattere a volte standardizzato, a volte invece da mille e una notte. Schiere di personale alberghiero in divise sontuose accolgono, con un savoir faire unico al mondo, oltre un milione di visitatori l'anno.
Insieme a sole, spiaggia e mare, le parole d'ordine sono gentilezza, professionalità e accoglienza, tutto per rendere felice lo straniero. E ci riescono bene, perché l'impeccabile hôtellerie mauriziana, con servizi e SPA di alta gamma, piace agli europei, affiancata com'è ad una natura addomesticata, ma pur sempre di grande effetto.
Un tropico sereno, tutte le tonalità di azzurro tropicale delle lagune, sabbia candida, un clima ideale e nessuna tensione politica o sociale: è questa la formula del successo di Mauritius che, nel bene e nel male, non appartiene all'Africa e non è nemmeno India.

Il successo economico, garantito da un regime fiscale amico e da fabbriche esentasse, incentiva gli investimenti esteri e punta su settori in crescita, come tessile, IT e turismo; in questa piccola repubblica hanno capito presto che non si vive di solo zucchero, per quanto buona parte del territorio sia tuttora coperto da morbide distese di canne fruscianti. Ma non si può dire che sia un'isola lussureggiante.
La foresta nativa, adagiata sui picchi delle montagne del sud, occupa solamente i seimila ettari del parco nazionale delle Gorges de la Rivière Noire; più spesso l'interno è brullo o inaridito.
A tratti, il paesaggio si fa maestoso, con picchi vulcanici che fanno da sfondo al verde delle piantagioni di tè e di canna da zucchero. Inaspettatamente spuntano riserve dall'aspetto quasi alpino dove vivono daini e cinghiali, originariamente portati dai colonizzatori e che oggi sono lì per curiosi safari o per la caccia.

Sulle spiagge più delle palme dominano il paesaggio i filaos, una sorta di pini subtropicali che smorzano un po' l'effetto tropico; di cocotier sono comunque pieni i giardini degli hotel.
E poi c'è il mare, che per divers e snorkelers smaliziati è spesso deludente. La barriera corallina, che circonda quasi totalmente l'isola, era gravemente danneggiata dall'inquinamento già negli anni '90, quando il governo mauriziano, forse troppo tardi, fissò le regole per contenere l'impatto ambientale, ma la pressione turistica è forte e non tutti si adeguano.

A poco più di un'ora di volo c'è un mondo diverso, che da qualche anno diventa sempre più frequentato.
L'isola di Rodrigues appartiene a Mauritius ma si amministra da sola e sembra davvero un altro paese: non c'è traffico sulle strade e la popolazione, a maggioranza creola e con forti tratti africani, si dedica ancora alla pesca e all'allevamento in un ambiente rurale, quasi bucolico.
Un paesaggio fatto di dolci colline, forse poco appariscente, che però esplode nella bellezza della laguna punteggiata di isolotti e lingue di sabbia dove, con la bassa marea, la gente raccoglie molluschi e cattura i polpi che mette poi a seccare.
Anche qui un tropico gentile ma senza lussi, per vivere una vacanza diversa dal solito.

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