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Polinesia Francese


Tahiti, Rangiroa, Nuku Iva, evasione e sogno solo a pronunciarne i nomi, un incanto di isole che ognuno di noi associa al paradiso: lagune iridescenti e spiagge orlate di palme, bassi atolli corallini e picchi vulcanici coperti di verdissime foreste primordiali che si tuffano nel blu del Pacifico.
Questa è la parte di mondo che più di altre evoca il mito dei Mari del Sud, dei grandi viaggi di Cook, Stevenson e Melville, delle avventure degli ammutinati del Bounty e dei quadri di Gauguin. Un mito che continua a sedurre la nostra fantasia e che sopravvive anche in chi, più lucido e disincantato, riesce a captarne le ombre.

La Polinesia francese è sparpagliata su un pezzo di oceano grande quanto l'Europa occidentale. Una miriade di isole, un arcipelago fatto di tanti arcipelaghi, ognuno dei quali vive realtà molto diverse.
Le principali destinazioni turistiche sono concentrate nel gruppetto di isole della Società: Tahiti, Moorea, Bora Bora e qualche altra, accattivanti come una bella cartolina, sono le più sognate ma anche l'anima addomesticata, affollata e commerciale dell'arcipelago polinesiano. D'altra parte sono le isole più facilmente raggiungibili e meglio attrezzate per accogliere i vacanzieri.

A nordest ci sono le Tuamotu, una settantina di atolli corallini gran parte dei quali trasformati in nursery dall'industria perlifera. Le isole interamente votate al turismo tutto sommato sono ancora poche: la mitica Rangiroa, con la sua laguna infinita, e qualche altro atollo, come Tikehau o Fakarava, meno noto ma comunque già da tempo frequentato dai sub e dai turisti più smaliziati.

Ancora più a nord, a latitudini prossime all'Equatore, c'è quel gruppo di isole che più di altre ha stregato artisti e navigatori: le Marchesi, la Terre des Hommes. Qui non ci sono barriere coralline e bungalow overwater ma spiagge di ciottoli scuri schiaffeggiati dal mare. In queste isole vulcaniche ciò che rapisce è la bellezza primitiva della natura, con quelle impressionanti creste di basalto, le vallate misteriose, le cascate e le foreste dense e umide.

Se le Marchesi vivono nel loro orgoglioso isolamento, ancora più isolate ma molto più a sud, a cavallo del tropico del Capricorno, le Australi e le Gambier sembrano la Polinesia francese di cinquant'anni fa.
Prendiamo l'isola di Raivavae: un migliaio di anime, una manciata di case e una laguna così perfetta che ricorda quella di Bora Bora. La gente si dedica a piccole coltivazioni (palme da cocco, ortaggi, frutta, caffè, vaniglia), all'allevamento dei suini e alla pesca. Qualcuno ha aperto una pensione, quattro o cinque bungalow deliziosi e senza troppi lussi. E' ancora presto per parlare di turismo, ma da quando è stato aperto l'aeroporto i visitatori cominciano ad arrivare anche qui.

La Polinesia francese è un paese che vive di turismo e di sussidi. L'industria turistica attrae capitali esteri e crea lavoro, ma senza gli aiuti di Parigi sarebbe impossibile mantenere quel benessere economico che distingue questa parte di Pacifico. Benessere che però è accompagnato da tutti i sottoprodotti della globalizzazione; così il pesce marinato nel latte di cocco viene offerto ai turisti in gita sui motu, ma i polinesiani preferiscono di gran lunga hamburger e patatine.

In cambio di una pioggia di miliardi la Francia ha potuto condurre tre decenni di test nucleari, tra il 1966 e il 1996, sugli atolli di Mururoa e Fangataufa; l'economia della bomba ha rappresentato, per oltre 30 anni, la prima voce di bilancio di questi territori. Il Centre d'Experimentation du Pacifique è stato smantellato, ma nessuno sa quanta spazzatura radioattiva è ancora intrappolata nel sottosuolo dei due atolli.

E' tutta una questione di compromessi. Formalmente la Polinesia gode di autonomia politica, ma come molti altri paesi della Francia d'oltremare dipende quasi interamente dalle decisioni prese a Parigi. La Francia finanzia questa parte di mondo e mantiene il suo controllo attraverso un esercito di ben stipendiati impiegati pubblici. Sono francesi la stragrande maggioranza dei professori e degli amministratori, solo il 20% della popolazione polinesiana possiede invece un diploma di scuola superiore.

I movimenti popolari secessionisti, che credono sia giunto il momento di affrancarsi dai francesi, stanno riscuotendo sempre maggior consenso. Ma le difficoltà nel creare una classe dirigente locale, la mancanza di una vita culturale, così come la intendiamo noi, nonché la naturale inclinazione della popolazione a vivere solo il presente, rendono limitate le prospettive, almeno nel medio periodo, del progetto politico delle forze indipendentiste polinesiane.

Tutto questo rende forse meno bello il paradiso? Se lo chiedono in molti, quelli che in Polinesia non ci sono mai stati e quelli che invece hanno mollato tutto e si sono trasferiti, realizzando un sogno a lungo inseguito. La maggior parte di loro vive serena ma ha sempre un biglietto di ritorno pronto in tasca.
Se non è il paradiso, scrive Rossella Righetti, la Polinesia francese ne è comunque un eccellente surrogato. Ma solo se ci vai in vacanza, aggiungiamo noi.

continua a leggere: Perché andare - cosa puoi fare e cosa puoi vedere

     
     
     


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