Esotiche sì, ma a modo loro. Le isole di Capo Verde sfuggono al consueto schema tropicale.
Così scriveva del suo paese il poeta capoverdiano Jorge Barbosa, esprimendo l'isolamento della sua terra: "Isole perdute in mezzo al mare, dimenticate in un angolo di mondo che le onde avvolgono, maltrattano, abbracciano..."
Una terra lontana dall'Africa ma ancora più lontana da altri continenti, che emerge nel mezzo di un oceano vero, quello fatto di onde maestose in perenne movimento.
Niente barriera corallina, né cocchi per addolcire le spiagge, che sono per lo più lunghe distese di sabbia nuda: le palme, caso mai, sono quelle da dattero e poi qualche acacia e pochi arbusti in grado di adattarsi ad un vento che soffia costante.
La vegetazione non è certo lussureggiante a Capo Verde; anche Darwin, avvicinandosi a Praia con il Beagle nel 1832, descrive questa prima tappa del suo lunghissimo viaggio come un'isola dal contorno desolato ma con 'un non so che di grandioso che forse una maggiore vegetazione potrebbe toglierle'.
Eppure, quando a metà del quattrocento viene raggiunto dai portoghesi, l'arcipelago di Capo Verde era disabitato ma senz'altro più verde di oggi. Col passare dei secoli, la sciagurata politica agricola dei colonizzatori avrebbe deteriorato ed impoverito il territorio per far posto alle coltivazioni; al resto ci ha pensato la natura, con un clima inclemente e siccitoso.
Non c'è da stupirsi se la vita a Capo Verde non sia mai stata facile. La popolazione discende in larga misura da diverse etnie nere africane, deportate come manodopera da adoperare sul posto o da trasferire nelle altre colonie e che, fuse con gli europei, hanno poi dato origine ai creoli capoverdiani, più chiari rispetto agli africani e dai tratti unici e inediti. Non è difficile trovare occhi azzurri e riflessi biondicci nei capelli.
Con l'abolizione della schiavitù le cose non sono andate meglio per la popolazione che, decimata dalle carestie, cominciò ad emigrare in massa nella più totale indifferenza del governo di Lisbona.
Tuttora nelle isole si incontrano più bambini e donne che uomini adulti; gli emigranti sono il doppio dei residenti e contribuiscono con le loro rimesse al sostentamento del paese.
Una storia dolorosa di una terra storicamente votata all'emigrazione che si è saputa guadagnare, dopo aver duramente combattuto per la propria indipendenza, una democrazia stabile che fa invidia a molti paesi africani. Al mantenimento della quale, di nuovo, contribuisce l'attiva diaspora capoverdiana.
Ormai affrancati da secoli di schiavitù e colonizzazione, i capoverdiani hanno come priorità lo sviluppo di un paese che, come molti altri in Africa, non crede nella politica dell'assistenzialismo permanente.
Si punta, tra l'altro, a sviluppare maggiormente i settori su cui queste isole possono già contare, come la pesca e soprattutto il turismo. Possibilmente creando infrastrutture adeguate e circuiti alternativi a quelli del turismo di massa che nell'isola di Sal, completamente in mano ad operatori stranieri, non porta certo denaro nelle tasche dei capoverdiani.
Valorizzare la straordinaria ricchezza e il patrimonio naturale delle isole ancora poco conosciute ai più, preservandole al tempo stesso dalla speculazione edilizia, è la sfida del futuro turistico di Capo Verde.
Per i capoverdiani soprattutto, ma anche per i viaggiatori che potrebbero davvero scoprire quell'atmosfera tentatrice che pervade le isole, quel misto di tristezza e allegria che è la sodade, il sentimento di un popolo al ricordo del proprio mondo e delle proprie radici.