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Tanzania


Non serve una carta geografica della Tanzania per citare a memoria una lunga teoria di nomi che ci parlano di Africa e di questo paese: il Kilimanjaro raccontato da Hemingway, la piana del Serengeti e le grandi migrazioni, la caldera intatta del Ngorongoro, la più ampia del pianeta, il lago Tanganica, dove avvenne il leggendario incontro tra Livingstone e Stanley. E poi Zanzibar e Pemba, le spezie e i mercanti arabi.

Sotto molti aspetti la Tanzania, uno dei paesi più estesi dell'Africa orientale, rappresenta la quintessenza del continente nero e di tutte le sue seduzioni.
Teatro di una natura grandiosa e primordiale, fatta di paesaggi sconfinati di erbe alte, maestosi baobab e acacie spinose dalle grandi chiome ad ombrello; ovunque si guardi, mandrie oceaniche di zebre, antilopi, bufali, gnu e giraffe che pascolano, ruzzolano e galoppano. E poi elefanti, leoni, rinoceronti, ippopotami, fenicotteri e tutto il campionario tipico della savana equatoriale che siamo abituati a vedere nei documentari naturalistici.

La Tanzania ha riservato ai parchi nazionali 42.000 km quadrati del suo territorio che, sommati alle altre riserve protette, vanno a coprire un'area pari a più di un terzo del paese.
Queste terre sono la meta privilegiata per avvistare elefanti, bufali, leoni, leopardi e rinoceronti, ovvero i big five, termine coniato per i cinque animali più pericolosi e quindi più ambiti dai cacciatori bianchi dell'epoca coloniale. Allora si trattava di personaggi come Theodore Roosevelt, Denys Finch-Hatton, Philip Percival, Frederick Selous, a cui è intitolata la più grande riserva della Tanzania e di tutta l'Africa, e lo stesso Hemingway.

In tempi più recenti i cacciatori di trofei sono turisti senza fucile, che preferiscono immortalare gli animali con la videocamera piuttosto che impallinarli e poi appenderli sopra al camino o alle pareti di un club.
Retaggio dei tempi passati oppure no, la caccia grossa è tuttavia un'attività ancora praticata nelle riserve tanzaniane, come d'altra parte in molte altre aree dell'Africa: tranne che al rinoceronte, specie ridotta ormai a pochissimi esemplari, è permesso sparare a agli altri quattro, basta pagare una quota.
I veri appassionati di natura africana sono tuttavia molto più numerosi. E preferiscono i parchi tanzaniani, soprattutto quelli del sud, ai circuiti del Kenya, alcuni dei quali sono diventati un triste surrogato dell'Africa selvaggia, ad uso e consumo di un turismo disattento e scontato.

In Tanzania il safari, il "viaggio" in swahili, può ancora essere un'esperienza magica e seducente. La Selous Game Reserve e il Ruaha National Park sono due delle oasi naturalistiche più autentiche e selvagge del paese, basta guardare il rapporto tra l'estensione del territorio e il numero di lodge e di campi tendati.
Il Ruaha, in particolare, ospita un'altissima concentrazione di elefanti e mammiferi della savana, tra cui spiccano gli ormai rarissimi licaoni. La vita animale segue un ritmo quotidiano legato alla natura e non riadattato alle necessità dell'uomo, la fauna è timida e impaurita dal rumore della jeep e bisogna avvicinarsi in silenzio e con discrezione: ma alla fine, ogni avvistamento diventa una scoperta emozionante, quasi una conquista.
Non c'è l'organizzazione che si trova nei parchi del nord, ma la gestione è nelle mani di esperti conoscitori dell'ambiente, impegnati sul fronte della protezione della natura; e le aree da campeggio e i lodge hanno poche unità abitative, spesso costruite con materiali ecologici.

La Tanzania si è aperta al turismo in tempi relativamente recenti e questo in parte spiega il basso impatto sull'ambiente del grande circuito delle vacanze.
La liberalizzazione del settore e l'apertura agli investimenti stranieri risale al 1990; da allora il numero delle strutture destinate all'accoglienza, come hotel, ristoranti, lodge e aree da campeggio è più che triplicato. Ma se l'industria turistica diventa una voce sempre più importante dell'economia nazionale, le comunità locali ne beneficiano solo in minima parte.
Il paese è uno dei più poveri del mondo, non dispone di grandi risorse minerarie e si poggia su un'economia sostanzialmente agricola.

Passata dalle mani dei coloni portoghesi a quelle dei tedeschi e finita poi sotto il protettorato britannico, la Tanzania dichiarò l'indipendenza nel 1961. Allora si chiamava Tanganyka ed era ancora separata da Zanzibar, dove a comandare erano sempre stati i sultanati arabi; tre anni dopo scoppiò una sanguinosa rivoluzione, gli africani dell'isola massacrarono gli arabi e Tanganyka e Zanzibar si unificarono, fondando la repubblica di Tanzania.

Presidente della nuova nazione era Julius Nyerere, fautore di una forma di socialismo nazionale chiamato ujamaa, cioè "spirito di collaborazione familiare", che puntava ad uno sviluppo del paese basato sulla forza delle cooperative agricole e sulla nazionalizzazione dell'economia, senza ricorso all'aiuto straniero. Una politica che, se nei primi anni riuscì a migliorare la condizione delle campagne, venne poi imposta ad una popolazione restia ad adottarla, senza riuscire a risolvere i gravi problemi di arretratezza economica e le tante disuguaglianze.
Oggi la Tanzania ha una politica d'impronta liberale, con un'economia attenta agli investimenti stranieri, che cresce ma paga il prezzo di dolorose riforme fiscali; e un'ampia fascia di popolazione vive ancora in condizioni di povertà estrema.

Ciò nonostante la nazione vanta un equilibrio che manca a molti paesi vicini, dove si sono invece scatenati violenti conflitti tribali. In Tanzania vivono oltre 120 gruppi etnici differenti, nessuno dei quali è mai diventato dominante sugli altri; i più conosciuti sono i masai, che abitano gli altipiani tra il Kenya e la Tanzania.
E' un popolo dai costumi e dalle tradizioni molto radicate, non ancora totalmente trasformato, come è accaduto invece in Kenya, a simulacro folcloristico usato dall'industria turistica per rivendere l'immagine selvaggia del parco africano.

All'orizzonte si profila tuttavia il consueto scenario: con un'economia turistica dei parchi che tira il PIL e chiede nuovi spazi, il fragile equilibrio tra la tutela del territorio e degli animali e i diritti della gente che da sempre ha abitato quelle terre rischia di rompersi. Un problema che riguarda tutti i parchi africani, dove per salvare i grandi mammiferi si rischia di far estinguere la cultura delle comunità native.

continua a leggere: Perché andare - cosa puoi fare e cosa puoi vedere

     
     
     


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